La Cassazione sulla cognomizzazione
“I titoli nobiliari non sono riconosciuti. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome” (XIV disposizione transitoria della Costituzione).
Chissà se i padri costituenti avrebbero mai immaginato che le disposizioni “transitorie” con cui accompagnarono la stesura della Costituzione repubblicana avrebbero tenuto impegnati i tribunali italiani anche a distanza di 70 anni, eppure lo scorso 4 aprile la Cassazione, con la sentenza n. 8955, ha dovuto tornare ad esprimersi su quanto disposto dalla XIV disposizione transitoria della Costituzione, e più precisamente sulla parte in cui si occupa della cognomizzazione dei predicati nobiliari.
Invero si tratta di una sentenza che appare abbastanza scontata per chiunque mastichi di tale materia, ma che a quanto pare per molti scontata non è, ovvero che: punto uno che esistenza e riconoscimento di un predicato nobiliare sono concetti diversi; punto due che la cognomizzazione di un predicato nobiliare è un’operazione personalissima, non estendibile automaticamente ai congiunti del richiedente, congiunti che non possono aver voce in capitolo rispetto alla scelta del richiedente stesso.
A riferire della sentenza e ad esaminarla più in dettaglio NT+diritto de il Sole 24Ore
Disambigua Nobiltà e titoli nobiliari in Italia Con l’avvento della Repubblica in Italia, la rilevanza pubblica dello status nobiliare e dei titoli nobiliari italiani, sono sostanzialmente venuti meno, sebbene sia necessario distinguere fra stato nobiliare e titolo nobiliare di un individuo o di un casato. Tale distinzione è rilevante sia sotto il profilo storico che giuridico, poichè di norma i diversi ordinamenti nobiliari del Regno d’Italia, degli stati preunitari, e degli stati esteri, hanno sempre riconosciuto insita nell’individuo o nel casato la nobiltà, che l’autorità pubblica può o poteva riconoscere, ma non conferire, in quanto stato proprio della persona, indipendente dalla volontà altrui (come dire che un individuo è onesto, e lo è a prescindere da qualunque riconoscimento pubblico o privato che sia, e all’inverso non può diventare onesto unicamente perchè venga dichiarato tale da una qualunque autorità); al contrario il titolo nobiliare è o era di norma frutto di una concessione sovrana, in quanto legato all’affidamento di una determinata funzione o di un determinato incarico, oppure manifestazione pubblica di una benemerenza comunque concessa dall’autorità sovrana. Va da sé che se comunque un sovrano riconosce o ha riconosciuto come nobile un individuo indegno, può risultare alquanto complicato contestare tale riconoscimento. In Italia però l’avvento della Repubblica ha portato anche alla redazione di una nuova Costituzione che nella sua “XIV disposizione transitoria”, recita: “I titoli nobiliari non sono riconosciuti. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922, valgono come parte del nome. … La legge regola la soppressione della Consulta araldica” (XIV disposizione transitoria della Costituzione Italiana, comma 1- 2, e 4). Dunque dall’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana (1° gennaio 1948) per l’Italia i titoli nobiliari hanno perso qualunque rilevanza pubblica; si badi bene, non sono vietati, semplicemente non sono riconosciuti, cioè non sono tutelati nè disciplinati, sono giuridicamente irrilevanti. Ne consegue che sotto il profilo giuridico ogni italiano può lecitamente autoattribuirsi qualunque titolo nobiliare desideri, senza incorrere in alcun reato, salvo eventualmente coprirsi di ridicolo. L’unica forma di tutela che permane è quella relativa ai “predicati nobiliari” (esempio: Rossi di Vallelupa), che a determinate condizioni possono essere riconosciuti e divenire parte del cognome (cosiddetta cognomizzazione). Da notare che però la “disposizione” costituzionale non menziona lo status nobiliare, lasciando qualche incertezza interpretativa, infatti non essendo menzionato, non si può dire venga negato, e formalmente – a differenza di quanto accaduto per i titoli nobiliari – non viene neppure indicato esplicitamente come irrilevante; ed anche la rivendicazione dell’uguaglianza fra tutti i cittadini italiani non risulta conflittuale con la status nobiliare di un individuo o di un casato, laddove tale status non origini discriminazione di trattamento di alcun tipo e in alcun ambito, come in effetti è oggi. In tale quadro vi è chi sostiene che lo status nobiliare individuale e familiare possa essere tutt’oggi oggetto di riconoscimento e tutela pubblica, soprattutto nei casi di individui (ormai pochi) o casati, che già erano stati riconosciuti come nobili dallo Stato (sebbene nella precedente forma del Regno), tanto più che l’organo pubblico chiamato a gestire tali riconoscimenti (la Consulta Araldica menzionata nella citata XIV disposizione provvisoria della Costituzione Italiana) a tutt’oggi non risulta formalmente soppressa, ma solo non più rinnovata. . |
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