“Predicati della nobiltà italiana” e dell’ “Annuario della nobiltà italiana edizione XXXIII”

Venerdì 23 giugno, ospitato dalla Camera dei Deputati presso Palazzo Theodoli-Bianchelli, a Roma, si è tenuto un convegno-presentazione sui “Predicati della nobiltà italiana” e sull’ “Annuario della nobiltà italiana edizione XXXIII”, temi che costituiscono anche il titolo delle omonime pubblicazioni.

Il primo testo, sui “Predicati della nobiltà italiana” è stato voluto dal prof. Antonio Palma, già Docente ordinario di Istituzioni di diritto romano all’Università Federico II di Napoli e Presidente dell’Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, realizzato da Demetrio Baffa Trasci Amalfitani di Crucoli, Giovanni Chianese, Emilio della Fontanazza, Fausto Giumetti, Riccardo Scarpa, con il contributo di Andrea Borella, direttore ed editore dell’Annuario della Nobiltà Italiana, che ha curato il delineo degli stemmi ivi presenti, e pubblicato da Pisa University Press.

La voluminosa opera cerca di censire tutti i predicati nobiliari, con il relativo titolo, la famiglia di appartenenza e la regione di riferimento degli stessi.

A seguire l’intervento di Andrea Borella, che ha illustrato la XXXIII^ edizione (l’ultima disponibile) dell’ Annuario della Nobiltà Italiana.

A chiudere quindi Demetrio Baffa Trasci Amalfitani di Crucoli che ha presentato alcuni casi particolari della nobiltà del meridione, ovvero quelli degli Arditi di Castelvetere, dei Moncada delle 164 once annuali sopra i caricatori del Regno, e dei Guerritore di Ravello.


Disambigua
Nobiltà e titoli nobiliari in Italia

Con l’avvento della Repubblica in Italia, la rilevanza pubblica dello status nobiliare e dei titoli nobiliari italiani, sono sostanzialmente venuti meno, sebbene sia necessario distinguere fra stato nobiliare e titolo nobiliare di un individuo o di un casato.

Tale distinzione è rilevante sia sotto il profilo storico che giuridico, poichè di norma i diversi ordinamenti nobiliari del Regno d’Italia, degli stati preunitari, e degli stati esteri, hanno sempre riconosciuto insita nell’individuo o nel casato la nobiltà, che l’autorità pubblica può o poteva riconoscere, ma non conferire, in quanto stato proprio della persona, indipendente dalla volontà altrui (come dire che un individuo è onesto, e lo è a prescindere da qualunque riconoscimento pubblico o privato che sia, e all’inverso non può diventare onesto unicamente perchè venga dichiarato tale da una qualunque autorità); al contrario il titolo nobiliare è o era di norma frutto di una concessione sovrana, in quanto legato all’affidamento di una determinata funzione o di un determinato incarico, oppure manifestazione pubblica di una benemerenza comunque concessa dall’autorità sovrana. Va da sé che se comunque un sovrano riconosce o ha riconosciuto come nobile un individuo indegno, può risultare alquanto complicato contestare tale riconoscimento.

In Italia però l’avvento della Repubblica ha portato anche alla redazione di una nuova Costituzione che nella sua “XIV disposizione transitoria”, recita:
I titoli nobiliari non sono riconosciuti.
I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922, valgono come parte del nome
.

La legge regola la soppressione della Consulta araldica
(XIV disposizione transitoria della Costituzione Italiana, comma 1- 2, e 4).

Dunque dall’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana (1° gennaio 1948) per l’Italia i titoli nobiliari hanno perso qualunque rilevanza pubblica; si badi bene, non sono vietati, semplicemente non sono riconosciuti, cioè non sono tutelati nè disciplinati, sono giuridicamente irrilevanti. Ne consegue che sotto il profilo giuridico ogni italiano può lecitamente autoattribuirsi qualunque titolo nobiliare desideri, senza incorrere in alcun reato, salvo eventualmente coprirsi di ridicolo. L’unica forma di tutela che permane è quella relativa ai “predicati nobiliari” (esempio: Rossi di Vallelupa), che a determinate condizioni possono essere riconosciuti e divenire parte del cognome (cosiddetta cognomizzazione).

Da notare che però la “disposizione” costituzionale non menziona lo status nobiliare, lasciando qualche incertezza interpretativa, infatti non essendo menzionato, non si può dire venga negato, e formalmente – a differenza di quanto accaduto per i titoli nobiliari – non viene neppure indicato esplicitamente come irrilevante; ed anche la rivendicazione dell’uguaglianza fra tutti i cittadini italiani non risulta conflittuale con la status nobiliare di un individuo o di un casato, laddove tale status non origini discriminazione di trattamento di alcun tipo e in alcun ambito, come in effetti è oggi. In tale quadro vi è chi sostiene che lo status nobiliare individuale e familiare possa essere tutt’oggi oggetto di riconoscimento e tutela pubblica, soprattutto nei casi di individui (ormai pochi) o casati, che già erano stati riconosciuti come nobili dallo Stato (sebbene nella precedente forma del Regno), tanto più che l’organo pubblico chiamato a gestire tali riconoscimenti (la Consulta Araldica menzionata nella citata XIV disposizione provvisoria della Costituzione Italiana) a tutt’oggi non risulta formalmente soppressa, ma solo non più rinnovata.
.

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