E scempio fu
L’Aquila – Il Consiglio regionale dell’Abruzzo, nella seduta assembleare del 5 luglio, ha approvato all’unanimità la legge che istituisce il nuovo stemma e gonfalone della Regione. Il presidente Lorenzo Sospiri, in aula, ha sottolineato l’importanza di “lasciare in eredità agli abruzzesi un simbolo identitario che faccia sentire tutti i cittadini delle province d’Abruzzo davvero uniti”. La principale novità è l’inserimento dell’effige del “Guerriero di Capestrano” che si sovrappone allo scudo sannitico già presente nel vecchio stemma. “È il più celebre guerriero italico – sottolinea Sospiri – ‘icona’ simbolo dell’Abruzzo e della sua identità. E’ l’immagine di un re, il re Nevio Pompuledio, che si ergeva in origine in cima al suo tumulo sepolcrale della necropoli presso Capestrano”. È l’articolo 2 della legge che dettaglia la nuova composizione grafica: “I tre colori (argento, verde e azzurro ndr) rappresentano, nell’ordine, le cime innevate del Gran Sasso, della Maiella, del Sirente, del Velino e dei contrafforti appenninici, i boschi, le colline ed il Mar Adriatico. Al di sopra dello stemma è posta una corona d’oro, sormontata dalla denominazione “REGIONE ABRUZZO” in lettere maiuscole d’oro. Sotto lo scudo è indicato il motto “Gentium Vel Fortissimarum Italiae” in caratteri minuscoli”.
Questo il comunicato con cui lo scorso 6 luglio il Consiglio Regionale dell’Abruzzo ha reso noto di aver arbitrariamente modificato il proprio stemma civico.
Abitualmente il nostro giornale non prende posizione e non ama esprimere critiche nei confronti di chicchessia, ed in particolare cerca di avere comprensione per funzionari o rappresentanti politici di piccole amministrazioni locali, che spesso con un entusiasmo inversamente proporzionale alla loro incompetenza in ambito araldico, con risorse limitate o nulle, si avventurano nell’impresa di dotare o di modificare lo stemma dell’ente per essi di riferimento; in questo caso però non possiamo tacere difronte all’ennesimo scempio araldico perpetrato questa volta da un’amministrazione civica di livello regionale, che dunque avrebbe mezzi e risorse per documentarsi ed al limite farsi adeguatamente assistere in un’operazione che oltretutto non gli compete. Già perchè – giova ricordare all’assessore Lorenzo Spiriti ed agli altri componenti il Consiglio Regionale dell’Abruzzo – in Italia gli emblemi araldici degli enti locali sono di competenza del Presidente della Repubblica, il solo che ne concede (e sottolineiamo: CONCEDE, non autorizza, non legittima, ma proprio “concede”) l’uso e dunque ne dispone le eventuali modifiche.
Ma il Consiglio Regionale dell’Abruzzo, non pago di far scempio delle leggi dello Stato, fa scempio anche dell’araldica, e ciò nonostante il qualificato e pubblico richiamo dello storico ed araldista abruzzese Fabio Valerio Maiorano, pretendendo di trasformare l’insegna araldica regionale in una cartolina con una bella fotografia appiccicata al centro (oltre ad altre amenità minori).
Immaginiamo che prima o poi qualcuno dovrà prendersi la briga di cercare di “regolarizzare” questo obbrobrio, e si rivolgerà dunque all’Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri chiamato a curare le pratiche di concessione araldica effettuate dal Presidente della Repubblica: avrà tale ufficio la forza ed il coraggio per respingere tale oscenità ? Ne dubitiamo, non fosse altro per le implicazioni politiche che ciò comporterebbe.
Ma anche se tale immagine sarà utilizzata dall’Ente regionale, anche se tale immagine potrà essere “regolarizzata” dai competenti organi statuali, essa non potrà mai essere uno stemma, restando assimilabile a quella più volte citata patacca rosa, a sagoma di cofano di auto, recante al centro un treno a vapore verde, che il suo ideatore continua a considerare uno stemma, ma che stemma non è, né mai lo sarà.
E nell’attesa di vedere frotte di abruzzesi immolarsi sotto la fotografia del “Guerriero di Capestrano”, quale loro segno identitario, c’è solo da augurarsi che il Consiglio Regionale dell’Abruzzo possa amministrare l’ente che presiede, con maggiore competenza di quella manifestata in questa scellerata scelta.
Scheda di approfondimento L’araldica civica italiana L’araldica è la scienza che studia gli stemmi, questi però sono raggruppabili in tre macro categorie, ovvero gli stemmi di persona e famiglia, gli stemmi ecclesiastici, e gli stemmi di enti. Quest’ultima categoria comprende in particolare gli enti territoriali, quali i comuni, le province, le regioni, e gli studi araldici ad essa dedicati, sono comunemente indicati come studi sull’araldica civica. Oggi in Italia solo questa categoria dell’araldica (o meglio gran parte di essa) è disciplinata e tutelata dallo Stato, e la normativa di riferimento è il Decreto del Presidente del Consiglio del 28 gennaio 2011 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1 febbraio 2011, n.25 – Suppl. Ordinario n.26. Tale Decreto all’articolo 2 precisa che: sono destinatari delle disposizioni di cui al presente decreto: le regioni, le province, le città metropolitane, i comuni, le comunità montane, le comunità isolane, i consorzi, le unioni di comuni, gli enti con personalità giuridica, le banche, le fondazioni, le università, le società, le associazioni, le Forze armate ed i Corpi ad ordinamento civile e militare dello Stato. L’articolo 5 invece precisa le caratteristiche tecniche degli emblemi civici: 1) Lo scudo obbligatoriamente adottato per la costruzione degli stemmi è quello sannitico moderno … 2) Le province, i comuni insigniti del titolo di città ed i comuni dovranno collocare sopra lo stemma la corona a ciascuno spettante, come di seguito descritta: a) provincia: cerchio d’oro gemmato con le cordonature lisce ai margini, racchiudente due rami, uno di alloro e uno di quercia, al naturale, uscenti dalla corona, decussati e ricadenti all’infuori: b) comune insignito del titolo di città: corona turrita, formata da un cerchio d’oro aperto da otto pusterle (cinque visibili) con due cordonate a muro sui margini, sostenente otto torri (cinque visibili), riunite da cortine di muro, il tutto d’oro e murato di nero: c) comune: corona formata da un cerchio aperto da quattro pusterle (tre visibili), con due cordonate a muro sui margini, sostenente una cinta, aperta da sedici porte (nove visibili), ciascuna sormontata da una merlatura a coda di rondine, il tutto d’argento e murato di nero: 3) Gli enti di cui all’articolo 2, diversi da provincia, comune insignito del titolo di città e comune, possono fregiare il proprio stemma con corone speciali di cui è studiata di volta in volta la realizzazione a cura dell’ Ufficio onorificenze e araldica. 4) Il gonfalone consiste in un drappo rettangolare di cm. 90 per cm. 180, del colore di uno o di tutti gli smalti dello stemma. Il drappo è sospeso mediante un bilico mobile ad un’asta ricoperta di velluto dello stesso colore, con bullette poste a spirale, e terminata in punta da una freccia, sulla quale sarà riprodotto lo stemma, e sul gambo il nome dell’ente. Il gonfalone ornato e frangiato è caricato, nel centro, dello stemma dell’ente, sormontato dall’iscrizione centrata (convessa verso l’alto) dell’ente medesimo. La cravatta frangiata deve consistere in nastri tricolorati dai colori nazionali. Le parti metalliche del gonfalone devono essere: argentate per gli stemmi del comune, d’oro per gli stemmi della provincia e del comune insignito del titolo di città. Analogamente i ricami, i cordoni, l’iscrizione e le bullette a spirale devono essere d’argento per gli stemmi del comune, d’oro per gli stemmi della provincia e del comune insignito del titolo di città. Il precedente articolo 4, fornisce inoltre delle indicazioni in merito ai motti: I motti devono essere scritti su liste bifide e svolazzanti dello stesso colore del campo dello scudo, con lettere maiuscole romane, collocate sotto la punta dello scudo. Non sono invece formalmente menzionate le fronde che accompagnano lo scudo ai lati per poi unirsi al di sotto della sua punta, ma il rinvio alla normativa preesistente per quanto non normato dal decreto in questione, oltre alla loro costante presenza nei bozzetti esemplificativi e nelle faq presenti sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri legittimano la comune interpretazione che esse siano previste, e lo siano con le caratteristiche indicate nelle suddette faq: 7) Le fronde che ornano lo scudo che ruolo hanno? Arricchiscono lo scudo ed effigiano l’alloro e la quercia, con le foglie di verde e con le drupe e le bacche d’oro; tali fronde si pongono legate in basso con un nastro tricolorato con i colori nazionali. Da annotare infine che il comma 1 dell’art. 4 del già richiamato DPCM del 28/01/2011 precisa che “Gli stemmi ed i gonfaloni storici delle province e dei comuni non possono essere modificati”. I disegni accompagnatori della presente scheda sono desunti dal testo del DPCM del 28/01/2011. Testo integrale del Decreto del Presidente del Consiglio del 28 gennaio 2011 . |
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