Lo stemma di monsignor Parisi
Papa Francesco, lo scorso 7 maggio, ha nominato vescovo della diocesi di Lamezia Terme il Rev.do Serafino Parisi, del clero di Crotone-Santa Severina, parroco e direttore della Scuola Biblica Diocesana.
Don Serafino Parisi è nato il 3 gennaio 1962 a Santa Severina, in provincia di Crotone, Arcidiocesi di Crotone-Santa Severina. Dottorato in teologia e laurea in filosofia, è stato ordinato sacerdote il 25 aprile 1987.
Numerosi gli incarichi in diverse parrocchie, cui hanno fatto seguito quelli in diverse funzioni diocesane. Attualmente è docente di Greco del Nuovo Testamento, Ebraico ed Esegesi biblica presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli, e da giornalista pubblicista è direttore di Vivarium, Rivista di Scienze Teologiche. Finora è stato inoltre Direttore della Scuola Biblica Diocesana Bèt Jòseph e Parroco di S. Dionigi a Crotone.
Il prossimo 2 luglio riceverà ora la consacrazione episcopale, e farà ingresso nella diocesi lametina il successivo sabato 9 luglio.
Quest’oggi invece ha presentato lo stemma che lo accompagnerà nella sua missione episcopale, e curato per lui da don Antonio Pompili, che così lo illustrato:
“La composizione araldica vuole richiamare le origini di Mons. Serafino Parisi e la sua formazione e, allo stesso tempo, i suoi valori spirituali e il suo programma pastorale.
Innanzitutto gli smalti dello scudo che si presenta come un partito, fanno riferimento allo stemma della sua Città di origine, Santa Severina, essendo da quello stemma mutuati. Su queste due campiture si innalzano, assumendo ciascuna lo smalto del campo opposto, le lettere greche Alpha e Omega a simboleggiare la Parola di Dio. Il riferimento è alla formazione del titolare, licenziatosi in Scienze Bibliche al Pontificio Istituto Biblico, oltre che al suo insegnamento delle stesse materie, in quanto docente di Greco del Nuovo Testamento, Ebraico ed Esegesi biblica presso l’Istituto Calabrese della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli e direttore della Scuola Biblica della sua Diocesi di origine, Crotone-Santa Severina. La prima e l’ultima lettera dell’alfabeto nel libro dell’Apocalisse di San Giovanni sono utilizzate per indicare il Cristo che, Parola di Dio fatta carne, porta a compimento con il mistero della sua morte e risurrezione il progetto salvifico divino. Accogliendo la signoria di Cristo che è «l’Alpha e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine», cioè accogliendo le sue parole e mettendole in pratica, i credenti prolungano nella loro esistenza la missione che il Padre ha affidato al Figlio.
La forza e la guida per la loro testimonianza i cristiani la attingono dallo Spirito Santo, il primo dono di Cristo morto e risorto alla sua Chiesa. Questo è richiamato simbolicamente nello stemma dal capo appuntato (così detto per il suo bordo inferiore che si protende a punta verso il cuore del campo) di rosso, colore che allude al tempo stesso al sangue versato da Cristo nel suo sacrificio salvifico e al fuoco dello Spirito disceso sugli Apostoli nel giorno di Pentecoste. Il capo di rosso richiama così l’amore di Dio che è stato riversato nei cuori dei credenti per mezzo dello Spirito loro donato e, di conseguenza, richiama la carità pastorale che deve animare il Vescovo nell’esercizio del suo ministero, quell’amore di padre e guida che trova la sua origine e la sua essenza nell’annuncio generoso e fecondo del Vangelo.
Questa idealità è accentuata nella presenza di una croce greca biforcata (cioè una croce scorciata, patente e con i quattro bracci terminanti con due punte aguzze e separate da un taglio triangolare), iscritta in un anello (armilla), composizione che riprende quella impressa in graffito su di un capitello all’interno del Battistero di Santa Severina, struttura che costituisce una delle massime testimonianze del periodo bizantino in Calabria. Si tratta di una immagine dal forte valore evocativo. Se la croce, elemento comprensibilmente molto presente nella simbologia dell’araldica ecclesiastica contemporanea, richiama in modo inequivocabile il mistero pasquale dal quale scaturiscono le acque salvifiche del lavacro battesimale, essa, circondata come è da un elemento che ha tutta l’aria di un nimbo, sembra espandere la sua vitalità tutt’intorno, ad ogni uomo, in ogni angolo della terra. Nel graffito presente all’interno del battistero santaseverinese l’insieme è accostato da una coppia di colombe, probabilmente un’allusione ai credenti che rivolti a Cristo da lui ricevono luce e vita. Anche il numero delle punte della croce non sembra casuale: il numero otto richiama, infatti, l’octavadies, il nuovo giorno in cui il Cristo risorto porta la salvezza all’umanità. Ma richiama anche le Beatitudini, che risplendono pienamente in Cristo e devono far splendere la vita del vescovo – e di ogni battezzato – in quanto annunciatore del luminoso Vangelo della salvezza.
Nel nostro stemma la composizione è d’argento, metallo che in araldica, per la sua trasparente brillantezza, può simboleggiare la verità e la giustizia, doti su cui deve poggiare lo zelo pastorale del Vescovo nel diffondere la Parola.
Le parole del motto episcopale sono desunte dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Galati: «per mezzo dell’amore siate gli uni schiavi degli altri». Siamo all’inizio della sezione parenetica della lettera. Paolo riassume il suo insegnamento precedente parlando della vita cristiana come una chiamata alla libertà, e precisa il significato e la portata della libertà autentica, contro una visione caricaturale di essa che sfocia nel libertinaggio e nell’immoralità. L’ideale cristiano di libertà è presentato paradossalmente dall’Apostolo come schiavitù. Egli adopera qui lo stesso verbo greco douleuein, «servire come schiavo», adottato in 4,8-9 e 4,25 per designare una situazione cattiva da respingere. Dopo aver dichiarato in 5,1 che i Galati non devono tornare in schiavitù, qui invece li esorta ad essere schiavi. Ciò che sembrerebbe fortemente contraddittorio in realtà non lo è a causa di due precisazioni che offrono una prospettiva completamente diversa. Infatti i cristiani sono chiamati ad essere schiavi per mezzo dell’amore, e ciò che è fatto per amore e nell’amore non è fatto per opprimente costrizione ma liberamente e con gioia. Inoltre il servire cristiano si realizza in una situazione di reciprocità, il che – lungi dal permettere l’istituirsi di un rapporto di unilaterale dominazione – stabilisce una radicale trasformazione dei rapporti tra persone, basata sul dinamismo di amore che viene da Dio, ossia sulla carità, intesa nel suo senso pieno, la carità che risplende nell’esempio di Cristo, che «non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» e ci ha così «amato sino alla fine»“.
Scheda di approfondimento L’araldica ecclesiastica L’araldica ecclesiastica è una specifica branca dell’araldica che si occupa degli stemmi appartenenti a persone o istituzioni del mondo ecclesiale, stemmi caratterizzati da ornamentazioni esterne sostanzialmente costanti e che esprimono un preciso codice giuridico, in grado di rendere immediatamente identificabile grado e funzione del titolare. Limitatamente all’araldica della Chiesa Cattolica, gli elementi essenziali di tale codice sono: La tiara o triregno è l’ornamento araldico ad uso esclusivo del Papa, che sormonta il relativo stemma, ed è costituita da un copricapo a forma di cupola che sorregge tre corone sovrapposte. Benedetto XVI e Francesco hanno sostituito la tiara con una mitra caricata di tre fasce d’oro che richiamano le originarie tre corone. Il galero, ovvero il cappello ecclesiastico è un cappello da pellegrino con la tesa molto lunga e due cordoni laterali che terminano con una serie di fiocchi o più propriamente nappe. Posto sulla sommità ornamento dello scudo il galero consente l’immediato riconoscimento del grado del titolare dello stemma grazie al colore e al numero delle nappe o fiocchi. Il colore del galero (di norma il medesimo delle nappe) indica: > rosso per i cardinali; > verde per gli arcivescovi, i vescovi e i patriarchi; > paonazzo per i monsignori; > nero per i presbiteri. Il numero di nappe per lato indica: > 15 nappe rosse per i cardinali; > 15 nappe verdi per patriarchi e primati; > 10 nappe verdi arcivescovi; > 6 nappe verdi vescovi e abati mitrati; > 6 nappe paonazze cappellano di Sua Santità; > 6 nappe nere vicario generale, vicario episcopale, abate; > 3 nappe parroco; > 1 nappa presbitero. Le Chiavi sono raffigurate incrociate, una d’oro a destra e un’altra d’argento a sinistra, con le impugnature rivolte verso il basso. Si pongono dietro o sopra lo scudo papale. La croce posta in palo dietro lo scudo, può essere: > semplice cioè ad una traversa per i vescovi > doppia cioè a due traverse per i cardinali, i patriarchi e gli arcivescovi. Impostazione classica di un stemma papale Impostazione classica di uno stemma cardinalizio di un arcivescovo Impostazione classica di uno stemma arcivescovile Impostazione classica di uno stemma vescovile Impostazione classica di uno stemma di un vicario episcopale Impostazione classica di uno stemma di un parroco Impostazione classica di uno stemma di un sacerdote Accanto a questi elementi principali ve ne sono altri di uso più limitato, come pure vi sono ulteriori configurazioni specificatamente riservate a cariche meno note, e non mancano un certo numero di eccezioni e deroghe concesse a titolari di cariche legate ad istituzioni specifiche. I disegni di questa scheda sono stati realizzati da Teresa Morettoni e Davide Bolis (per il solo stemma vescovile). . |
Scheda biografica Don Antonio Pompili Don Antonio Pompili è nato a Roma il 16 ottobre 1974. Dopo la maturità, è entrato, nel settembre del 1993, al Pontificio Seminario Romano Maggiore svolgendovi gli studi filosofici (presso la Pontificia Università Lateranense) e teologici (presso la Pontificia Università Gregoriana). Il 25 aprile 1999 è stato ordinato sacerdote da San Giovanni Paolo II, nella Basilica Vaticana. Ha esercitato il suo ministero sacerdotale presso le parrocchie dei Santi Mario e Compagni Martiri alla Romanina, San Pio V all’Aurelio, e San Martino I Papa, prima come vicario parrocchiale e poi come parroco. Vicepresidente dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano, è considerato fra i massimi esperti viventi nel campo dell’araldica ecclesiastica, ed è anche un apprezzato disegnatore di emblemi araldici. Fra le sue realizzazioni si segnalano in particolare il “Manuale di araldica ecclesiastica” e il corso in streaming “L’araldica un linguaggio antico e sempre attuale”, oltre a numerosi contributi apparsi su diverse pubblicazioni; don Pompili è inoltre uno dei moderatori del forum IAGI “I nostri avi”. . |
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