Un ritrovamento per nuove ipotesi sullo stemma di Licata
Il Fondo Librario Antico di Licata ha comunicato attraverso la propria pagina Facebook di aver ritrovato il più antico sigillo su carta della Universitas (cioè dell’odierno Comune) licatese.
Si tratta di un sigillo apposto su un documento vergato il 13 Dicembre del 1591 che ritrae “… quattro torri di disugual altezza che si innalzano su una rocca merlata circoscritta dal mare…” (descrizione indicata dai ricercatori siciliani).
E’ bene precisare subito che si tratta di una fonte assolutamente attendibile, poichè il documento rappresenta una copia conforme all’originale redatta in tale data, di un testamento di un’importante famiglia aristocratica del territorio. Oggi il documento proveniente dalla Conservatoria del Comune (ufficio che come ben evidenziano i ricercatori che hanno fatto la scoperta era il “luogo in cui erano registrati e conservati tutti gli atti importanti della Città compresi i testamenti, è stato controfirmato sulla sinistra dai tre Giurati (Amministratori), Giovan Battista Formica, Bernardo de Gueli e Domenico de Averna ed è stato autenticato – appunto – con il sigillo raffigurante la città“) è conservato presso l’Archivio Storico del Comune di Licata, dove i ricercatori l’hanno “scovato”.
Dunque il sigillo cinquecentesco sembra andare a confermare l’essenza dello stemma di Licata, ma anche ciò che qualunque araldista è portato ad immaginare osservando lo stemma attualmente in uso alla cittadina dell’agrigentino, ovvero che quanto in essere rappresenta verosimilmente una lettura erronea dell’emblema cittadino.
Per comprendere il sospetto è necessario andare a rivedere lo stemma attualmente utilizzato dall’ente comunale, che con giusto orgoglio apre il sito Internet dell’amministrazione locale, e a cui è dedicato anche un box in home page (lodevole iniziativa purtroppo tutt’altro che frequente da parte dei Comuni italiani).
Ebbene, osservando l’immagine e confrontandola con la blasonatura emergono subito alcune criticità. In particolare la blasonatura appare incompleta in diversi suoi passaggi e risulta significativamente difforme dalla figura, con un’aquila coronata, imbeccata ed armata al naturale (particolari tralasciati dalla blasonatura), con la mancanza di indicazioni circa le anomali posizioni di corona civica (al collo dell’aquila) e motto (afferrato dagli artigli dell’aquila), e con colori dello scudetto diversi da quelli effettivamente visibili (il colore del campo indicato è azzurro, quello visibile è d’argento; le finestre sono d’oro mentre la blasonatura le descrive di nero; il campo di mare appare azzurro ondato d’argento, mentre la blasonatura indica una campagna d’azzurro ondata di nero e d’argento).
E’ opportuno allora ricordare qui che per “stemma” si intende ciò che è contenuto nello (o sullo) scudo, invece l’insieme di stemma ed ornamentazioni esterne (come corone, motti, sostegni o tenenti, manti, …) è detto “arme”.
Alla luce di tali concetti appare discutibile la blasonatura ufficiale del 1939, e con essa l’attuale concezione stessa dello stemma, che considera l’aquila come parte dello scudo e non come ornamentazione esterna, assegnandole per altro un campo d’argento di fatto inesistente dato che visivamente l’aquila di Licata si libra nel vuoto e non è affatto contenuta in uno scudo. Una tale revisione della concezione dello stemma porterebbe anche a giustificare la posizione della corona di città, che sarebbe collocata correttamente sul lembo superiore dello scudo e non al suo interno, e del motto, che pure sarebbe collocato naturalmente ai piedi dello scudo e non al suo interno, legittimando anche il fatto che tali posizioni non siano menzionate dalla blasonatura in quanto non necessario, essendo esse nella loro collocazione naturale, e che sempre la blasonatura non menzioni gli attributi dell’aquila in quanto anche questi raffigurati con caratteristiche ordinarie, e soprattutto porterebbe a rendere plausibile l’assenza dello scudo su cui dovrebbe essere collocata l’aquila.
Proprio questa valutazione “riduttiva” dell’emblema cittadino, è oggi avvalorata dal ritrovamento dei ricercatori locali, che nel sigillo rinvenuto non hanno trovato traccia dell’aquila e di tutti quegli elementi che pur presenti possono essere considerati “ornamentazioni esterne”.
In tal caso resterebbe da chiarire quali possano essere i colori dello stemma vero e proprio dato il palese conflitto tra immagine ufficiale e blasonatura. Per risolvere questo dilemma sarà opportuno svolgere una ricerca in loco per trovare ulteriori testimonianze iconografiche che però rechino anche gli smalti dell’emblema. Nel frattempo – in quanto documento ufficiale – appare opportuno attenersi alle indicazioni contenute nella blasonatura stesa nel 1939, e più adeguatamente ripresa nell’immagine elaborata dal sito di “Araldica Civica”, salvo rettificare il colore del portone del catello in oro (va inoltre osservato che in tale soluzione anche il rapporto del castello con il mare ivi presente è opinabile).
Restano invece da chiarire le caratteristiche della corona civica, che nello stemma in uso appare essere quella di Città, titolo che però non parrebbe essere stato riconosciuto a Licata, ma che pure appare nella blasonatura (che a questo punto riteniamo di poter definire “raffazzonata”) del 1939, dove – descrivendo però lo stemma, non l’arme ! – indica una “Corona murale della città”. Saremmo portati a ritenere che possa trattarsi di una concessione straordinaria di corona di “Città” ad un “Comune”, ma sarà opportuno prima svolgere degli ulteriori approfondimenti.
Se però tutto ciò dovesse essere corretto, la blasonatura dello stemma di Licata dovrebbe essere rivista, ad esempio in: D’azzurro, al castello torricellato di quattro pezzi d’altezza diseguale, d’oro, finestrato di nero, sorgente dalla campagna (o in alternativa – con soluzione meno corretta –circondato da un mare) di azzurro, ondato di nero e di argento; il tutto accollato ad un aquila con il volo abbassato, coronata, al naturale, tenente un cartiglio d’argento recante la scritta in caratteri latini maiuscoli, di nero, “ALICATA …*”, con gli attributi di Comune, ma con corona di Città.
*Dalle immagini disponibili la scritta pare composta da due parole, di cui la seconda – non riportata dalla blasonatura ufficiale – risulta illeggibile e dunque da verificare.
Scheda di approfondimento CORONE CIVICHE Lo Stato Italiano disciplina rigorosamente le corone degli enti territoriali utilizzate negli stemmi, in particolare: I Comuni devono utilizzare una corona formata da un cerchio aperto da quattro pusterle (tre visibili), con due cordonate a muro sui margini, sostenente una cinta, aperta da sedici porte (nove visibili), ciascuna sormontata da una merlatura a coda di rondine, il tutto d’argento e murato di nero. I Comuni insigniti del titolo di città utilizzano una corona turrita, formata da un cerchio d’oro aperto da otto pusterle (cinque visibili) con due cordonate a muro sui margini, sostenente otto torri (cinque visibili), riunite da cortine di muro, il tutto d’oro e murato di nero. . |
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